In questo articolo parliamo dei pazienti bidone, un modo un po’ ironico che rende bene l’idea. Con questa espressione ci riferiamo a quei pazienti che in realtà non vogliono essere pazienti, quei pazienti che in realtà non sono disposti ad intraprendere un percorso psicologico psicoterapeutico volto al benessere e fanno perdere tempo al professionista, perdendo loro stessi tempo e soldi. Questi sono quei pazienti che solitamente fanno uno oppure al massimo due colloqui, dopo fanno perdere le loro tracce.  Questo articolo risulterà quindi utile sia per i colleghi che si trovano in questa situazione sia per pazienti che capiscono di non essere pronti ad iniziare un percorso quindi possono riorganizzare le loro idee e chiedersi effettivamente cosa vogliono da un lavoro psico-terapeutico.

Questi pazienti li ho divisi in tre grandi categorie, queste non hanno la presunzione di essere esaustive ma sono rappresentative della casistica. Il primo paziente è quello che chiama e dice al dottore “ho un problema grave, è urgente, ma posso venire solo il giovedì dalle 19.45 alle 20.45” questo potrebbe essere anche vero e non voglio assolutamente sminuire le difficoltà di una persona, tuttavia questo è un indicatore netto della poca disponibilità e anche della poca motivazione. In un contesto privato è necessario avere un minimo di flessibilità sia dal punto di vista del terapeuta sia dal punto di vista del paziente per trovare appunto l’incastro corretto che non vada ad essere un impedimento soprattutto in termini di orario per nessuno dei due.  Un minimo di flessibilità reciproca è necessaria come lo è anche una certa motivazione per riuscire a trovare l’accordo sull’appuntamento. Ci sono comunque pazienti che iniziano a tergiversare troppo perché non hanno mai tempo, spazio e hanno sempre qualcosa di più importante da fare.

La seconda tipologia di paziente è quello che chiama invece e dice “dottore io ho un problema che in realtà non è nulla di che, a dirla tutta io non ho neanche una grande considerazione, non credo molto nel lavoro che lei fa anzi a dirla davvero tutta vengo perché mia mogliemio marito mi ha consigliato di venire”. Questo indica la poca consapevolezza, una non percezione di quale sia un bisogno, la difficoltà e di quali quindi le conseguenze nonché la poca motivazione di intraprendere un percorso di cura.

La terza situazione è quella in cui il paziente telefona e chiede esclusivamente il costo, il terapeuta quindi tenta di avere qualche informazione in più, necessaria per comprendere come poter strutturare la terapia, ma il paziente in questione inizia una trattativa sul prezzo. Quest’ultimo non può essere l’unica variabile tramite la quale viene valutato un professionista. La telefonata infatti prosegue con “ok, quindi se ha due minuti mi dà qualche consiglio” cercando quindi di estorcere informazioni utili alla risoluzione del problema.

Queste, in generale, le categorie di pazienti, se ti trovi dal lato del terapeuta capirai benissimo come queste situazioni sono ladre del tempo poiché non permettono di lavorare. Se ti trovi invece dal lato del paziente e ti riconosci in una di queste categorie fatti qualche domanda sulla tua motivazione nell’intraprendere un percorso.  

 

 

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